Mario Valle Web

Dal Memex all’Educazione Cosmica

Nel 1945 Vannevar Bush scrisse “As We May Think”, un articolo visionario in cui immagina una macchina, il Memex appunto, parte biblioteca e parte aiuto cognitivo, che avrebbe svolto un ruolo centrale nel liberare le energie creative necessarie a risolvere i pressanti problemi dell’umanità.

Negli stessi anni, in India, Maria Montessori raffina e presenta la sua visione di un quadro concettuale che soddisfi gli interessi e alimenti l’immaginazione del bambino, risponda alle sue domande più profonde e unifichi tutto il lavoro nelle scuole montessoriane. Quadro che sarebbe diventato l’Educazione Cosmica, tassello fondamentale del suo progetto.

Che cosa hanno in comune questi due personaggi così diversi e con obiettivi così contrastanti? Li accomuna il posto preminente occupato nei loro scritti dall’indagine sul funzionamento della mente umana e soprattutto sul suo modo di operare per associazioni e collegamenti.

Perché allora non guardare con occhi nuovi quelle pratiche che sono comuni tanto in una scuola Montessori quanto negli ambienti scientifici di punta? Mostrare e trovare connessioni, esplorare il contesto attorno ai temi di studio, raccontare storie e rispolverare l’uso delle metafore possono migliorare l’accesso alla conoscenza e alimentare un apprendimento efficace, come hanno voluto insegnarci questi due visionari: Vannevar Bush e Maria Montessori.


Buona sera. Siete pronti per un piccolo viaggio nello spazio e nel tempo?

Ecco. Siamo nel 1945 e la seconda guerra mondiale, con la sua scia di distruzioni e problemi, si avvia lentamente al termine.

Il direttore dell’Office of Scientific Research and Development del governo americano, Vannevar Bush, che aveva coordinato gli sforzi bellici di ben 6000 scienziati, cominciò a guardare al dopo, a chiedersi che cosa si potesse fare per risolvere questi terribili problemi che, sia detto per inciso, anche lui aveva contribuito a creare. A sua discolpa possiamo solo dire che, nonostante il cognome, non ha nulla a che fare con i Bush più recenti e pericolosi.

Insomma, Bush si domandava come utilizzare al servizio dell’umanità intera le menti dei suoi scienziati e…

…le conoscenze scientifiche accumulate in quegli anni.

Giunse alla conclusione che, per raggiungere questo obiettivo, si doveva cambiare radicalmente il modo di lavorare al fine di liberare le energie mentali e creative ancora intrappolate in tanti lavori meccanici e ripetitivi.

Lui, da buon tecnocrate, era convinto che la tecnologia avrebbe giocato un ruolo primario in questo compito.

Così, nel luglio del 1945, poco prima dell’ultimo sussulto tragico della guerra con le bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki, raccolse la sua visione e le sue idee…

…nell’articolo: “As We May Think” che si traduce in “Come potremmo pensare”. Ne venne fuori uno scritto visionario, un vero squarcio sul futuro. Un pezzo ancor oggi citatissimo.

In quelle pagine Bush racconta e immagina invenzioni che avrebbero aiutato non il braccio, ma la mente. Macchine che avrebbero liberato l’uomo dai compiti mentali ripetitivi. Arriva addirittura a immaginare i moderni calcolatori che già vedeva come base della scienza e tecnologia del futuro.

Purtroppo si rende conto che questo non bastava!

“C’è una montagna crescente di ricerche” scrive nell’articolo “ma vi è una crescente consapevolezza che oggi ci stiamo impantanando man mano che la specializzazione si estende”.

Sa che bisogna rendere più facilmente accessibile, per il bene di tutti, la montagna di risultati scientifici disponibili. Ma sa anche che non si può rimanere ancorati ai metodi gerarchici di strutturazione del sapere, alle vecchie classificazioni da biblioteca se si vuole andare avanti.

Ed ecco che arriva il suo colpo di genio.

Bush sa che la mente umana non lavora come lo schedario di una biblioteca ma opera per associazione, muovendosi da un elemento all’altro, creando, spesso in maniera inconscia, intricati collegamenti fra idee e concetti.

E così, a supporto di queste attività mentali, immagina un aiuto tecnologico, il Memex appunto.

Un apparato che, nonostante la realizzazione pratica che oggi fa sorridere, tutta leve, motori e microfilm, rende concreti i meccanismi associativi del cervello mettendo a profitto le tracce che lasciamo quando siamo all’inseguimento di un’idea. Arriva addirittura a immaginare che “Appariranno forme del tutto nuove di enciclopedia, […] pronte per essere inserite nel Memex e lì amplificate”.

Nella visione di Bush il Memex sarebbe diventato in definitiva un amplificatore del pensiero umano tramite la raccolta e l’utilizzo delle connessioni e degli agganci tra idee e concetti.

In quegli stessi anni, in un’altra parte del mondo, in India, Maria Montessori, Madame, come veniva chiamata, …

…tiene corsi, sperimenta e osserva instancabilmente, elaborando, soprattutto a Kodaikanal, il progetto di “Educazione Cosmica” su cui lavorava già da quasi dieci anni.

Come sempre partiva dalla conoscenza del bambino…

…che sa capace di un interesse che si espande in ogni direzione. Pensa perciò che “offrendogli la visione del tutto, si aiuterà la sua intelligenza a svilupparsi pienamente, poiché il suo interesse si diffonde verso ogni cosa, e ogni cosa è collegata alle altre e ha il suo posto nell’universo, che è al centro del suo pensiero.” (Come educare il potenziale umano, pag. 20)

Un’intuizione che oggi trova conferma nel lavoro di psicologi infantili come Alison Gopnik. E la Dottoressa c’era arrivata quasi cento anni fa!

Racconta la Gopnik nella conferenza TED2011: “Beh, se vogliamo pensare a un modo per farci un’idea come adulti della coscienza di un bambino, credo che la cosa migliore da fare sia pensare a casi in cui ci troviamo in una nuova situazione mai vista prima: quando ci innamoriamo di qualcuno, quando siamo in una nuova città per la prima volta. Allora quello che succede non è che la nostra coscienza si contrae, ma anzi si espande, in modo che quei tre giorni a Parigi sembrano molto più pieni di consapevolezza ed esperienza di tutti i mesi trascorsi a camminare, parlare, presenziare alle riunioni come zombie e tornare a casa. A proposito, quel caffè, quel meraviglioso caffè che bevete al piano di sotto, in realtà simula l’effetto dei neurotrasmettitori nei bambini. Allora cosa vuol dire essere un bambino? È come essere innamorati a Parigi per la prima volta dopo aver bevuto tre espressi doppi.”

E continua notando che …

… l’attenzione dell’adulto è come un riflettore: si concentra su un punto lasciando tutto il resto nell’ombra.

Mentre l’attenzione del bambino è come una lanterna che illumina tutto. Possiamo addirittura dire che i neonati e i bambini piccoli sono pessimi a focalizzarsi su una singola cosa, ma sono molto bravi a recuperare informazioni da tante fonti diverse in una volta sola.

Per non sprecare questa capacità di attenzione, Maria Montessori osserva: “Ciò che [il bambino] apprende deve essere interessante, deve affascinarlo: bisogna offrirgli cose grandiose: per cominciare, offriamogli il Mondo” (Dall’Infanzia all’Adolescenza, cap. V pag. 45)

Anzi, diamo alla sua immaginazione l’universo intero, perché è qui che si svolge la vita del bambino, ed è proprio l’universo che può fornire risposte alle sue domande più profonde.

E così propone una grande cornice concettuale, uno schema unificante: il Piano Cosmico.

Questo non è una disciplina o un insieme di nozioni, ma rappresenta il filo teorico e operativo che attraversa e coordina i vari materiali in una struttura unitaria. Non è un nuovo approccio alle materie scolastiche, è un piano di sviluppo per ogni fase di crescita, è quel modo di rapportarsi del bambino verso l’universo e l’umanità che gli permetterà di sviluppare, di fatto, le sue potenzialità.

E come? Ancora una volta lo sintetizza molto bene Maria Montessori: “Bisogna sviluppare nel bambino un’ammirazione di questa umanità inconscia che pensa e crede di lavorare per se stessa e invece lavora per gli altri… Questo prende l’immaginazione del ragazzo, ne suscita la curiosità, ne risveglia l’interesse”

Questo grande schema, queste idee approfondite e puntualizzate a Kodaikanal confluiranno nel libro “Come educare il potenziale umano”, pubblicato per la prima volta nel 1948, e infine si struttureranno nei materiali dell’Educazione Cosmica.

Ora approfondire il Piano Cosmico e sviscerarne i vari aspetti non è l’obiettivo di questa chiacchierata. Voglio invece focalizzarmi su un solo punto. Un punto minuscolo ma fondamentale.

Come facciamo, si domandava Madame, a dare questa visione dell’universo al bambino? A fargli vedere l’ordine che vi regna?

Non descrivendo, elencando e sistematizzando, ma dispiegando e comprendendo le connessioni e le relazioni che creano quest’ordine. Perché, appunto, “noi non possiamo comprendere un sasso senza capire almeno qualcosa del grande sole!” perciò…

…facciamo vedere al bambino come tutto è interconnesso nell’universo e sulla nostra terra: storia, evoluzione e cultura. Insegniamogli che c’è un’interdipendenza fra noi e il mondo naturale che ci circonda. Incoraggiamolo a guardarsi attorno con un senso di meraviglia.

Visti in questa luce, i cartelloni e i materiali si riducono quasi alla parte meno importante delle lezioni di Educazione Cosmica. Invece…

… qui abbiamo il come e il perché: “Ecco dunque un principio essenziale: insegnare i dettagli significa portare confusione. Stabilire la relazione tra le cose, significa portare la conoscenza.” Sono gli stessi motivi ribaditi nel libro: “Il principio fondamentale dell’educazione è la correlazione fra tutte le materie, che trovano il loro centro nel piano cosmico.” (Come educare il potenziale umano, pag. 121)

Si può anche dire che il Piano Cosmico riflette la struttura e il funzionamento della nostra mente. È per questo motivo che anche lei, come Bush, insiste nel ricordarci come la conoscenza sia soprattutto relazione, non montagne di nozioni appiccicate in qualche maniera.

Sì, perché come Bush anche lei si rende conto che non si può dare tutto il sapere all’allievo, dacché la conoscenza umana è sterminata. Per chi ama i numeri questa è stata stimata (nel 2007) in 300 Exabyte, cioè 3 seguito da venti zeri, una quantità inimmaginabilmente grande.

A differenza di Bush, però, la sua soluzione non è tecnologica ma parte, come sempre, dalla conoscenza del bambino.

Per lei bisogna dare al bambino il massimo dei germi d’interesse, l’amore per la conoscenza e la curiosità. Poi, sarà lui che saprà cercare i fatti e i dettagli al momento opportuno.

Saltiamo ora a un’altra parte del mondo e a una quindicina d’anni più tardi.

Entra in scena un tal Mario Valle. È un bimbetto che si fa la sua brava trafila di scuola tradizionale, cui si aggiunge la scuola raccontata dalla mamma insegnante. Non contento, molti anni dopo sposa pure una maestra.

Viste queste premesse, è ovvio che professionalmente sia andato in tutt’altra direzione; …

…una direzione che mi ha portato verso le scienze computazionali, che mi ha fatto lavorare per varie società del ramo e ultimamente emigrare a Lugano al Centro Svizzero di Calcolo Scientifico (CSCS)…

…dove sono ospitati alcuni dei supercalcolatori più potenti al mondo.

Insomma, posso dire che la mia vita professionale si svolge pienamente nel solco tracciato da Vannevar Bush.

Ma poi c’è stato l’incontro con le idee montessoriane attraverso la scuola scelta per nostro figlio. Mi si è aperto un mondo. Che cosa ho visto in quella scuola?

Ho visto la libertà di scelta dell’attività di studio cui dedicarsi. Ho visto il tempo scorrere al ritmo del bambino, senza l’affanno del dover terminare tutto prima dello scadere dell’ora.

Ho visto la collaborazione scelta, voluta e non imposta.

Ho visto l’assenza di inutili divisioni per età, …

…dove i più piccoli non hanno paura di presentare il loro lavoro ai più grandi e dove questi sono molto attenti e rispettosi delle attività dei più piccoli.

Ho visto fin dal Nido bambini concentrati in vere attività di vita pratica, non in attività “per far finta”. Dove se si fa una torta, si fa una vera torta e la si mangia pure. E ho visto queste attività abbattere le suddivisioni tra scuola e casa, tra scuola e vita quotidiana.

E poi la sorprendente scoperta dell’Educazione Cosmica. Non tanto per i cartelloni o i temi trattati, ma per quello che implica l’idea di Piano Cosmico che tutto unifica.

Ho visto come una tale cornice concettuale renda possibile un apprendimento non lineare, che si muove per piani, in cui il bambino allarga la sua conoscenza attorno a un tema o a un argomento che ha stimolato il suo interesse.

Ho visto un posto dove il bambino impara a porsi domande e a fare ricerca, vera ricerca.

Ho visto maestre che non si consideravano depositarie del sapere ma piuttosto delle guide. Maestre che si comportavano come ci ricorda una frase citatissima di una sconosciuta Alexandra Trenfor: “I migliori insegnanti sono quelli che ti mostrano dove guardare, ma non ti dicono che cosa vedere”.

Come contraltare ho visto, vissuto e vedo nella scuola tradizionale bambini costretti ognuno nel proprio banco, senza nemmeno guardarsi, anzi isolati nella competizione per avere i voti più alti.

Una scuola dove i bambini sono considerati dei vasi vuoti da riempire…

…che devono immagazzinare nozioni secondo la progressione degli argomenti del programma, da cui non si può deviare.

Una scuola dove le materie non hanno punti di contatto, ma hanno una gerarchia d’importanza che le separa e dove anche i libri sono rigorosamente specializzati.

Perfino l’orario scolastico riflette questa suddivisione. Era così nel 1936 a Orschwir in Alsazia…

…ed è così oggi, anche se l’orario non è più scritto a mano ma lo compone un computer.

Insomma, una scuola dove il sapere è a silos, dove la cultura è spezzettata in parti separate da tagli lungo direzioni arbitrariamente scelte.

Oltre a creare divisioni i silos hanno due nefasti effetti collaterali: primo, non permettono di valorizzare ciò che cade tra i silos. Come valutare, infatti, l’amore per la lettura oppure lo scrivere poesie?

Secondo, i silos promuovono il rifiuto delle responsabilità, il “non è compito mio”.

Se non è compito mio spostare il ramo caduto, come in questa foto, vuol dire che non m’importa nulla se la linea che traccio sull’asfalto sarà meno che perfetta.

E allora che cosa possiamo fare in concreto per lottare contro questo andazzo?

Innanzitutto vorrei sgombrare il campo dalle inevitabili osservazioni riguardo alla necessità della specializzazione. Mi si dice che la specializzazione è indispensabile, data la quantità stratosferica di conoscenze che ci circondano. Ma non è questa che contesto, il male è la specializzazione che chiude la mente. Lo diceva anche Bush: “Ci stiamo impantanando man mano che la specializzazione si estende”.

Quello che intendo lo tratteggia efficacemente lo scrittore Robert Heinlein nel libro “Lazarus Long l’immortale”: “Un essere umano deve essere in grado di cambiare un pannolino, pianificare un’invasione, macellare un maiale, guidare una nave, progettare un edificio, scrivere un sonetto, tenere la contabilità, costruire un muro, aggiustare un osso rotto, confortare i moribondi, prendere ordini, dare ordini, collaborare, agire da solo, risolvere equazioni, analizzare un problema nuovo, raccogliere il letame, programmare un computer, cucinare un pasto saporito, battersi con efficienza, morire valorosamente. La specializzazione va bene per gli insetti”.

Mi piacerebbe una scuola dove obiettivo dell’apprendimento sia sviluppare una mente aperta che cerchi connessioni e agganci piuttosto che trasmettere tutto lo scibile di un campo arbitrariamente ristretto.

Riflettete. Quante persone prima di Newton avevano visto mele cadere e quante avevano visto la Luna girare attorno alla Terra? Innumerevoli, ma solo lui aveva collegato i due fatti deducendo che erano causati dallo stesso fenomeno, la gravità.

Gli stampi mobili erano stati concepiti da un fabbro cinese di nome Pi Sheng attorno all’anno mille e tra i vignaioli del Reno il torchio esisteva da innumerevoli anni. Ma solo Gutenberg vide che si potevano unire queste due tecnologie e trasformare la stampa in un motore di comunicazione di massa.

Non sempre, però, si può stare seduti sotto un albero a meditare o vivere la vita movimentata di un Gutenberg. Insegnanti e genitori possono invece fare qualcosa di molto concreto: quando è possibile diano non il singolo concetto, ma i due estremi del collegamento.

Per esempio possono parlare di aritmetica e di antichi sistemi di numerazione, e quindi di storia e culture differenti dalla nostra. Del resto è quello che si fa in una scuola Montessori, dove la matematica non è solo formule, ma è innanzitutto un esempio di creazione della mente umana, come racconta Irene Fafalios in questo vecchio numero del Quaderno Montessori.

Si possono raccontare le vite dei matematici, che, non dimentichiamolo, sono persone umane, non teoremi! Come può un ragazzino non appassionarsi alla triste storia di Évariste Galois, ed entusiasmarsi per i suoi ideali da giovane ribelle? Così, attraverso Galois, alla matematica si può collegare quasi senza fatica la storia del tumultuoso periodo della Restaurazione.

Tutto questo perché, come osserva Ernst Mayr, importante biologo evoluzionista, siamo convinti che “la scienza si impara meglio nel contesto della storia”. E la Dottoressa aggiungeva che “il bambino è meno interessato ai fatti che al modo in cui essi sono stati scoperti.” (Come educare il potenziale umano, pag. 96)

Creare connessioni vuol dire anche utilizzare più di un canale sensoriale nell’apprendimento. Non bisogna dare solo il concetto astratto, ma anche farlo arrivare attraverso le mani, i colori, l’ambiente, le emozioni. Queste vie creeranno agganci sensoriali ed emotivi che aiuteranno nuove idee e nuovi concetti a connettersi a quelli appena appresi.

Un simile modo di procedere ci sembra così normale e pacifico quando osserviamo dei bambini in una scuola Montessori che ci dimentichiamo la profondità delle idee su cui si basano le attività che svolgono.

Connettere non vuol dire uniformare o incidere nella pietra. Ogni disciplina ha il suo linguaggio e i suoi modi di procedere, ma nelle scuole Montessori ci accorgiamo che queste differenze non portano alla creazione di silos perché i materiali sensoriali unificano i diversi linguaggi. Unificano perché i materiali di sviluppo si muovono sempre entro la cornice concettuale del Piano Cosmico, e perché sono materiali sensoriali e di sensi noi ne abbiamo un insieme solo.

Al CSCS è la stessa cosa: discipline diverse unificate dalla visualizzazione scientifica, che rende visibile l’invisibile nascosto nei numeri prodotti, come qui, dalle simulazioni di neuroni, atomi o macchine da corsa.

Collegamenti non solo intellettuali, ma innanzitutto umani, che nascono dal collaborare sullo stesso lavoro, per esempio.

Per me creare connessioni vuol dire interagire con scienziati di diverse discipline e proporre e trovare collegamenti, spesso inaspettati, tra la loro e la mia conoscenza nei progetti per cui collaboriamo.

Al CSCS ho lavorato con chimici, biologi, cristallografi, geofisici, e ogni volta ho visto nascere le scoperte più interessanti sul confine tra discipline diverse o quando si mescolavano saperi da settori distanti della scienza.

Questo ficcare il naso nei campi altrui non è per me una novità. Anche se a scuola non ho avuto la fortuna di poterlo fare, ho recuperato più tardi.

Ricordo ancora –eravamo nel 1993– un collega che mi installò una novità assoluta: il browser Mosaic. Era una finestra su quel mondo magico e nuovo che si chiamava World Wide Web. Pensate che allora avrei potuto visitarne tutti i siti nel giro di un paio di giorni.

È superfluo aggiungere che questa è un’altra previsione di Vannevar Bush che è diventata realtà con il lavoro di Tim Berners-Lee, nonostante il capo di quest’ultimo scrivesse sulla proposta (qui a sinistra): “Vago ma eccitante …”

Quei 500 siti del 1993 sono diventati…

…i miliardi di pagine di oggi.

Ma non sono solo pagine legate da link, sono un’immensa rete di conoscenze collegate e intrecciate. Sono un’interminabile serie di ponti tra argomenti e discipline diverse, dove sta a noi essere attenti a cogliere, come fece Newton, legami e correlazioni tra la mela e la Luna.

Girare sul Web per me è spesso come andare in libreria, ci vai per cercare un libro ben preciso ed esci con tutt’altro che ha stuzzicato la tua curiosità.

Allora, invece di guardare al Web con sospetto e paura, insegniamo a esplorarlo e a cogliere i suggerimenti che ci arrivano da cose che non stavamo cercando. Diamo insomma spazio a quella che viene chiamata “serendipity”. Abbiamo mai provato a scrivere una ricerca a caso su Google e scorrerne l’elenco dei risultati? Ci è mai balzato all’occhio qualcosa di inaspettato?

Lena Wikramaratne, che era con Madame a Kodaikanal, in un’intervista in cui raccontava la genesi dell’Educazione Cosmica (Montessori perché no pag. 177), si lamentava che: “Oggi gli adulti insegnano. Non esplorano. Non scoprono.” Suvvia, non facciamo soffrire questi pionieri! Esploriamo, troviamo un qualche interesse che ci renda entusiasti e con voglia di trasmettere questa passione!

Connessioni per apprendere.

Le mappe concettuali si basano proprio su questo, sul rendere espliciti e visibili i collegamenti tra concetti per aiutare a ricreare gli stessi collegamenti nella mente. Qui abbiamo per esempio una mappa concettuale per imparare che cos’è una mappa concettuale.

Mappe concettuali che stanno a meraviglia in una scuola Montessori.

Per esempio a Roma una maestra del plesso Montessori di via Lemonia usa delle mappe concettuali da completare come esercizio di comprensione di un testo.

Connessioni non solo per apprendere, ma anche per creare.

Quando costruiamo un’astronave con pezzi di cartone, mollette da bucato e tempera rossa, non abbiamo creato solo una nave spaziale invincibile, abbiamo creato un innesco per la nostra immaginazione che troverà così per conto suo connessioni inaspettate.

Al TEDGlobal 2010 l’autore Matt Ridley, con una similitudine un po’ goliardica, mostrava come nel corso della storia il motore del progresso umano sia stato l’incontro e l’accoppiamento di idee per farne nascere di nuove. Non è importante quanto siano in gamba gli individui, dice, quel che conta è l’intelligenza condivisa. Guarda caso ancora le connessioni.

A questo punto mi sembra chiaro come sia Maria Montessori sia Vannevar Bush, anche se per vie differenti, diano grande importanza alle connessioni e alle associazioni per il funzionamento della mente.

C’è però un punto che Bush ignora totalmente e che è invece alla base del Piano Cosmico montessoriano: il contesto. I nostri pensieri, le azioni e le decisioni che prendiamo non nascono nel vuoto, dipendono e in un certo senso sono connesse all’ambiente che hanno attorno, il contesto appunto.

Facciamo un esempio.

La foglia studiata sul libro di testo è foglia senza contesto, scollegata da tutto. Quella foglia è soltanto un’astrazione.

Mentre la foglia studiata andando nel bosco è foglia nel suo contesto. Vuol dire che ha attorno rumori, suoni, odori e sensazioni che amplificano la percezione e forniscono un ancoraggio per ricordare con facilità anche i dettagli più astratti.

Sciascia, nel suo romanzo “Il contesto”, annota: “Un fatto è un sacco vuoto”. Una nozione, un avvenimento, un’idea devono essere ancorati, cioè collegati e connessi, all’ambiente che sta loro attorno affinché acquisiscano consistenza.

Il contesto può addirittura cambiare quello che percepisco e apprendo di un fatto.

Per esempio il fatto qui è una B. Ne sono sicuro.

Aggiungo il contesto e questo conferma la mia percezione. Non solo, mi fornisce anche dei nuovi particolari: ora so che la B fa parte di una sequenza ordinata di lettere.

Se però il contesto fosse differente, di colpo il fatto che percepisco si trasforma e diviene indubitabilmente un 13.

E poi c’è il contesto creato dall’ambiente preparato delle scuole Montessori. Per esempio, vi siete mai chiesti perché i lavori vengono svolti su di un tappetino? Non solo per comodità e cura dei materiali, ma soprattutto perché lo spazio limitato fornisce un contesto ben preciso in cui utilizzare il materiale scelto.

Sarebbe bello ora poter approfondire tutto questo, ma il tempo è tiranno. Voglio invece accennare a un tipo di contesto che è importantissimo nel mio lavoro: …

…il contesto dell’attenzione.

Quando sto scrivendo un programma per un supercomputer, devo avere in testa un bel po’ di informazioni: le strutture dati che modifico, le librerie che sto utilizzando, il comportamento che voglio abbia quella parte del codice. Queste informazioni forniscono il contesto al mio lavoro di programmazione. Ora, se vengo distratto, le statistiche dicono che ci metterò almeno venti minuti a ricostruire questo contesto nella mia mente per poter così ricominciare a scrivere qualcosa di sensato.

Vi dice niente tutto ciò? Pensate a quanto costa cambiare contesto mentale a un bambino quando a scuola “finisce l’ora” e ne inizia un’altra. Le conseguenze ce le ricorda ancora la Dottoressa: “Chi interrompe i bambini nelle loro occupazioni affinché si soffermino a imparare certe determinate cose, e li fa cessare dallo studio dell'aritmetica per passare a quello della geografia e simili, pensando che sia importante dirigere la loro cultura, confonde il mezzo col fine e distrugge l'uomo per una vanità. Ciò che è necessario di dirigere, non è la cultura dell'uomo, è l'uomo stesso.” (L’autoeducazione, pag. 157)

Non da ultimo è proprio il contesto dato dall’ambiente dell’India, dove c’è un rispetto profondo per ogni forma vivente, che ha probabilmente facilitato la nascita del Piano Cosmico così com’è stato immaginato da Maria Montessori lì a Kodaikanal.

Arrivati a questo punto potremmo aprire il televoto, ma non siamo a X-Factor.

Sia Maria Montessori, sia Vannevar Bush sono stati dei grandi visionari, spesso in anticipo sul loro tempo. Entrambi sono scesi in profondità nei meccanismi della mente umana, anche se con obiettivi e strumenti differenti.

C’è però un’ultima cosa che li accomuna. Negli scritti che abbiamo citato tutti e due raccontano una storia. Non pubblicano teorie, raccontano una storia.

E non importa se la storia dell’universo sia un po’ datata o se Bush ignora totalmente le potenzialità della tecnologia digitale. L’importante è che ambedue non hanno usato astrazioni per trasmettere le loro idee, ma lo hanno fatto raccontando una storia in cui ci possiamo identificare.

Sì, perché noi esseri umani siamo “cablati per le storie”. Le storie sono il modo naturale di condividere informazioni ed esperienze e la narrazione ci permette di capire meglio noi stessi e gli altri. Le storie poi stimolano l’immaginazione e le emozioni.

Se ci pensate una bella storia la vedete letteralmente nella mente. E questo gli scienziati del passato lo sapevano. Raccontavano le loro scoperte come una storia o un dialogo, non con una pagina piena di formule.

Raccontiamo più storie! Usiamo metafore e similitudini con figli e allievi! Stimoliamo anche emozioni, immaginazione e fantasia come fa una buona maestra Montessori.

Perché non siamo esseri razionali alla maniera di Spock il Vulcaniano, tutto testa e niente emozioni.

L’apprendimento e la crescita personale coinvolgono l’intero nostro essere, mente e corpo, raziocinio, immaginazione e fantasia. Invece, quello che spesso accade a scuola lo descrive ancora una volta la Dottoressa: “In genere gli educatori riconoscono l’importanza della fantasia, ma la vorrebbero coltivare a parte, separatamente dall’intelligenza, proprio come vorrebbero separare quest’ultima dalle attività manuali: sono i vivisezionisti della personalità umana.” (Come educare il potenziale umano, pag. 30)

Sono tante le idee che questi due visionari ci hanno trasmesso che ora non è facile condensarle in due parole. Mentre a mio avviso è facile trovare come metterle in pratica, basta guardare cosa si fa in una scuola Montessori.

Io vorrei provare a sintetizzare quanto ci siamo detti leggendovi un aneddoto che secondo me non sfigurerebbe in una lezione di Educazione Cosmica.

Racconta Edgar Morin, nel suo libro “Una testa ben fatta”, che durante un banchetto al castello Beychevelle un autorevole enologo domandò a Michel Cassé che cosa vedesse un astronomo nel suo bicchiere di Bordeaux. Questi rispose: “Vedo la nascita dell’Universo perché vedo le particelle che vi si sono formate nei primi secondi. Vedo un Sole antecedente il nostro poiché i nostri atomi di carbonio si sono forgiati in seno a quell’astro che è esploso. Poi quel carbonio si è legato ad altri atomi in quella sorta di pattumiera cosmica, i cui detriti, aggregandosi, formeranno la Terra. Vedo la composizione delle macromolecole che si sono assemblate per far nascere la vita. Vedo le prime cellule viventi, lo sviluppo del mondo vegetale, l’addomesticazione della vite nei paesi mediterranei. Vedo i baccanali e i festini. Vedo la selezione dei vitigni, una cura millenaria attorno alle vigne. Vedo infine lo sviluppo della tecnica moderna che oggi permette di controllare con strumenti elettronici la temperatura della fermentazione nelle cantine. Vedo tutta la storia cosmica e umana in questo bicchiere di vino e, beninteso, anche la storia specifica del Bordolese”. (Edgar Morin, Una Testa Ben Fatta, Raffaello Cortina Editore, pag. 33)

Ecco c’è tutto: storie, connessioni e contesto.

Grazie per l’attenzione!

 

Riferimenti utili

Il lavoro di Alison Gopnikwww.alisongopnik.com
Alison Gopnik a TED2011www.ted.com/talks/alison_gopnik_what_do_babies_think.html
Il Memexit.wikipedia.org/wiki/Memex e en.wikipedia.org/wiki/Memex
As We May Thinken.wikipedia.org/wiki/As_We_May_Think e il pdf web.mit.edu/STS.035/www/PDFs/think.pdf
Irene Fafalios: Montessori e la matematicawww.montessori.uniroma3.it/tecaweb/download.php?id=122
Matt Ridley a TEDGlobal 2010www.ted.com/talks/matt_ridley_when_ideas_have_sex.html
Come nascono le buone idee?www.youtube.com/watch?v=YuVa6dUSy9M
La proposta originale del Webinfo.cern.ch/Proposal.html
Il primo sito del Webinfo.cern.ch/hypertext/WWW/TheProject.html
CmapTools: uno strumento per le mappe concettualicmap.ihmc.us